Naomi Klein non ha dubbi nell’affermare che un cambiamento costoso e profondo debba essere attuato nel brevissimo tempo: “i soldi non contano quando siamo morti”. Ma chi pagherà il conto del cambiamento? I produttori, le multinazionali o i cittadini?
Naomi Klein, storica autrice e attivista che in passato ha sconvolto gli occidentali, raccontando la filiera dei prodotti dell’alta moda e della tecnologia, spesso passata per le mani di donne e bambini che lavorano in condizioni inaccettabili, illustra in modo dettagliato, la relazione di fondo che esiste tra l’ecosistema del pianeta ed il modello di sviluppo che lo sta mettendo in crisi irreversibile. Madrina intellettuale del Green New Deal negli Stati Uniti, Klein ha aiutato a formare una coscienza ecologica le nuove figure politiche degli ultimi anni, come Alexandria Ocasio-Cortez.
Nel suo ultimo libro, Il mondo in fiamme: Contro il capitalismo per salvare il clima, Klein delinea i contenuti del Green New Deal globale, per poi rievocare il decennio appena trascorso, tra relazioni, documenti e discorsi sulla crisi climatica. Dagli eventi disastrosi come quello della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon e dello sversamento in mare di enormi quantità di petrolio, ai dilemmi morali circa il sacrificio probabile delle comunità costiere, a causa dell’innalzamento del livello del mare.
Non manca il punto di vista di chi, spesso lontano dagli occhi dei media soffre per le violenze che subisce l’ecosistema, come le popolazioni indigene delle foreste e degli animali in fuga dagli incendi dolosi. La domanda è: di quante storie come queste abbiamo bisogno prima di iniziare a cambiare le cose?
Gli scienziati affermano che abbiamo 12 anni per ridurre le emissioni prima che l’ecosistema venga alterato in modo irreparabile, soprattutto se vogliamo portare le nostre emissioni a zero, secondo l’accordo sul clima di Parigi, entro il 2050.
Sapere per agire
L’obiettivo del libro però, è quello di collegare tutte queste crisi per ottenere un quadro completo, in modo da poter agire concretamente: “Si parla della crisi climatica e delle zone del mondo in fiamme, ma anche della xenofobia, della violenza sulle donne. Voglio mettere in relazione le crisi alle rispettive soluzioni.”
Le cose peggioreranno, questo è certo. È solo una questione di chi verrà colpito di più, e dove le mutazioni climatiche avranno un impatto maggiore. Non è quindi solo una questione ambientale, ma anche sociale. Ecco perché, ha affermato Klein, il modello del Green New Deal è necessario per scuotere l’economia che dipende dai sussidi ai combustibili fossili e dalle agevolazioni fiscali, per fare investimenti per un bene superiore. “Stiamo parlando di un enorme cambiamento di paradigma economico, l’eliminazione del capitalismo come lo conosciamo.”
“Ci rassicurano quando non dovremmo essere rassicurati. Ci distraggono quando non dovremmo essere distratti. E placano la nostra coscienza quando non dovrebbe essere placata.
In parte succede perché se decidessimo di prendere sul serio il cambiamento climatico dovrebbero cambiare pressoché tutti gli aspetti della nostra economia, e invece sono troppi i potenti interessi costituiti che amano lo status quo. Non ultime le multinazionali dei combustibili fossili, che hanno finanziato una pluridecennale campagna di disinformazione, di occultamento e di vere e proprie menzogne sulla realtà del riscaldamento globale.”
Non possiamo semplicemente lasciare che il mercato faccia delle scelte, sostiene. Il mercato ha delle priorità che sono intrinsecamente, nel lungo periodo, dannose per l’uomo e l’ecosistema in cui vive. La soluzione non sarà relativamente semplice, come mettere una Carbon Tax o una tassa sui voli aerei.
“La nostra società non è fondata sull’equità e le persone al potere non vogliono cambiarla”.
“Alcuni candidati [alla presidenza degli USA] si avvicinano al Green New Deal presentandolo come un piano per il clima, ma è chiaro che non afferrano il punto” – dice Klein. “È una road map per una nuova economia. Se lo si tratta come un piano sul clima, non si è capito nulla.”
Ecco perché il modello New Deal è utile. Evoca una memoria storica, un punto di partenza per un cambiamento sociale su larga scala. Negli anni ’30, quando fu emanata, la depressione aveva gettato il paese in un tale sconvolgimento che aumentare di un terzo il debito nazionale sembrava una buona idea. Chiamando l’emergenza climatica “la nostra terza guerra mondiale”, l’economista Joseph Stiglitz ha scritto che la seconda guerra mondiale è un altro esempio di quando abbiamo fatto enormi investimenti per contrastare una reale minaccia per il paese. Dobbiamo farlo di nuovo ora.
“Abbiamo generazioni che sono cresciute senza la memoria storica di un’epoca in cui erano possibili grandi cambiamenti collettivi in positivo, specialmente dopo anni di iperindividualismo e guerra all’azione collettiva nella società “, ha affermato Klein. Eppure c’è speranza per la riscoperta di valori collettivi, anche grazie a personalità come Greta Thunberg, che non dice nulla di nuovo, ma porta all’attenzione delle nuove generazioni, un tema cruciale.
Clima e giustizia sociale
“Qualunque cosa facciamo ora farà la differenza tra il resistere e governare le crisi o scivolare verso una condizione di barbarie”, dice, soprattutto perché la finestra per poter lanciare questi grandi cambiamenti, si sta restringendo. Nonostante lo sconforto per chi affronta quotidianamente queste tematiche, si può esser certi che la consapevolezza del problema è oggi più diffusa rispetto a qualche anno fa.
Scioperi e manifestazioni aprono grandi punti interrogativi, uno in particolare: chi è il vero nemico dell’ambiente e del nostro futuro? Recentemente Ursula Von der Leyen, presidente della Commissione Europea, ha dichiarato di voler difendere lo stile di vita europeo e contemporaneamente combattere i cambiamenti climatici: ma è possibile far convivere entrambe le cose?
Forse la vera domanda di fondo, quella che nemmeno Greta Thunberg ha mai avuto il coraggio di porre è questa: chi pagherà il conto del cambiamento del paradigma economico della crescita infinita (dei profitti)? I produttori, le multinazionali o i cittadini? Si sa che le emergenze sono spesso sfruttate dalle élite per far digerire scelte impopolari pur di mantenere lo status quo, potrebbe succedere ancora.